Ho incontrato Ambrogio Bianchi Bonomi nel lontano 1969, poco dopo l’inizio delle attività del Centro Emofilia e Trombosi del Policlinico di Milano, situato al Padiglione Beretta Est. Insieme alla sua moglie Paola Piccinelli, mi hanno spiegato che erano stati consigliati di rivolgersi a me per i problemi di Barbara, allora una vivace bambina. La Professoressa Larrieu di Parigi li aveva raccomandati a me, riconoscendomi come un esperto rinomato e stimato a livello internazionale per le mie ricerche sulla malattia di von Willebrand.

Successivamente, tramite Ambrogio, ho conosciuto suo padre e nonno di Barbara, Angelo Bianchi Bonomi. Era l’archetipo dell’imprenditore milanese: poche parole e molta azione. Fu lui a decidere di finanziare e fondare la Fondazione che porta il suo nome, diventando uno dei principali sostenitori della ricerca scientifica presso il Policlinico. Un momento cruciale del contributo di Ambrogio e della famiglia Bianchi Bonomi è stato la realizzazione, negli anni ’70, del primo laboratorio di ricerca nei sotterranei di via Pace. Con grande determinazione e tenacia, Ambrogio riuscì a superare i vincoli burocratici dell’Ospedale Maggiore e ottenne che fosse la Fondazione stessa a gestire la costruzione del laboratorio, evitando così ritardi e complicazioni.

Questa storia si è ripetuta di recente, quando la Fondazione ha finanziato i lavori per l’inaugurazione del nuovo, più grande e moderno laboratorio di ricerca di via Pace, in collaborazione con l’Ospedale Maggiore Policlinico. Tra i numerosi contributi della Fondazione al nostro centro, un ruolo di rilievo è stato svolto come organizzatrice esecutiva dello studio randomizzato SIPPET, pubblicato nel 2016 sul rinomato New England Journal of Medicine.

Oltre a questi risultati tangibili, voglio ricordare altri aspetti della mia amicizia personale con Ambrogio. Entrambi amavamo le escursioni in montagna, e per anni è stata una tradizione il suo invito estivo nell’Engadina per lunghe camminate e conversazioni stimolanti. Condividevamo anche la passione per l’India, che abbiamo esplorato in lungo e in largo. I suoi consigli sono stati preziosi per farmi scoprire aspetti di questo grande paese, non convenzionali né scontati. Oltre agli interessi condivisi, ci legava un rapporto sincero e franco, basato su un profondo rispetto reciproco e una solida amicizia, senza fronzoli.

Pier Mannuccio Mannucci